Al tempo di Andrea Doria il palazzo era privo di ambienti stabilmente destinati ad accogliere funzioni sacre. Al contrario il suo successore Giovanni Andrea I, considerato insieme alla moglie Zenobia uno dei più rigorosi campioni genovesi della Controriforma, poteva vantare la presenza di numerose cappelle nella sua dimora, delle quali l’unica che conserva la connotazione originaria è questo ambiente adiacente alla galleria. La volta è stata quasi interamente distrutta dai bombardamenti della II Guerra Mondiale: nelle lunette ancora leggibili sono rappresentate le figure delle Sibille, leprofetesse dell’antichità pagana. Nella fascia sottostante si susseguono sedici ovali dipinti con una tinta nero-bluastra a imitare l’ardesia, circondati da ricche ghirlande di frutti. La pala d’altare è stata realizzata ai primi del Settecento da Giovanni Battista Gaulli, detto “il Baciccio”. Davanti ad essa è esposto un crocifisso seicentesco, alto poco meno di un metro e realizzato in legno pregiato. Si tratta di un’opera importante, quasi certamente originaria della villa: una rara versione da cappella privata dei grandi Cristi “mori” delle confraternite genovesi, così chiamati perché il legno con cui erano realizzati, di colore scuro, veniva lasciato a vista. Questo particolare, permette oggi di apprezzare ancora meglio la notevole finezza di intaglio dell’opera. L’arredo sacro è completato a destra dell’altare da un quadretto contenente quattro reliquie di santi che circondano un ovale in cera raffigurante la Crocifissione, mentre a sinistra si scorge il breve papale che autorizza la principessa Anna Pamphilj a movimentare le reliquie di Santa Giusta da Roma. Infine la tradizionale tecnica del “riporto”, ovvero dell’applicazione di sagome di tessuto su stoffa di fondo, è in parte utilizzata per la tappezzeria della monumentale poltrona ricamata con fili d’argento e di sete colorate. Si tratta del trono commissionato dai Doria per il re di Spagna Filippo V nel 1702, in occasione di una sua prevista visita a palazzo che poi in realtà non si verificò.
Il dipinto fu realizzato tra il 1705 e il 1706 da Giovanni Battista Gaulli, detto “il Baciccio”, artista genovese che si trasferì a Roma ed ebbe, anche grazie alla protezione del Bernini, commissioni assai prestigiose come la celebre decorazione ad affresco della cupola e delle volte della Chiesa del Gesù, grazie alla quale fu riconosciuto come uno dei più grandi maestri del barocco. La pala raffigura San Giuliano, protettore dei malati di gotta, che viene portato al cospetto dell’imperatore romano Decio. Il dipinto mostra il santo, con i piedi fasciati a causa della malattia, che riceve la sentenza di morte, mentre due angioletti gli porgono la palma e la corona del martirio; sullo sfondo, è dipinto un nobile porticato che incornicia una statua di Giove. Il quadro si caratterizza per l’attenta ricerca cromatica, tipica del Gaulli, abilissimo nell’alternare i toni vivi e squillanti delle figure in primo piano, come il manto rosso del giudice e quello blu del santo, alle delicate modulazioni dei toni di sfondo. La struttura del dipinto ha una compostezza di stampo classico che è propria degli ultimi anni di attività del pittore.