Villa Del Principe - Palazzo Di Andrea Doria

13 Il Salone dei Giganti


Introduzione al Salone dei Giganti

Il salone dei Giganti, posto al centro dell’appartamento di Andrea Doria, svolgeva prevalentemente funzioni di rappresentanza. Qui fu collocato il trono di Carlo V durante il soggiorno dell’imperatore a Genova, nel marzo del 1533. La sala è sovrastata da un maestoso affresco a sviluppo orizzontale, senza divisioni tra le figure e le vicende rappresentate, realizzato da Perino del Vaga, che ne occupa interamente la volta e che raffigura Giove mentre scaglia le folgori sui Giganti ribelli, simbolo dell’Imperatore Carlo V che sconfigge i propri nemici. Sulla parete opposta al camino e sul lato breve verso monte sono esposti due splendidi arazzi quattrocenteschi che illustrano le vicende della storia di Alessandro Magno.

Al centro della parete spicca lo splendido camino eseguito da Silvio Cosini su disegno di Perino del Vaga, realizzato in pietra nera del Promontorio e marmo di Carrara. La decorazione riprende il tema del fuoco e raffigura nel medaglione centrale il mito di “Prometeo che dona il fuoco agli uomini”. Le statue che lo impreziosiscono nei due versanti sono invece rappresentazioni della “Pace che brucia le armi”. Ai lati del camino si possono ammirare due ritratti del XVI secolo: a sinistra “Andrea Doria con il gatto” a destra “Ritratto del cane Roldano”. Sotto i due quadri sono poste due pregevoli cassapanche cinquecentesche, probabilmente di manifattura lombarda.


L’affresco di Giove

Il tema è quello classico del mito greco di Esiodo e Apollodoro, in cui i giganti nati dalle gocce di sangue di Urano cadute sulla terra, assaltarono l’Olimpo per spodestare gli dei. La feroce lotta che ne seguì, detta “Gigantomachia”, fu vinta dagli dei guidati da Giove. Nell’affresco, Giove appare circondato dagli dei dell’Olimpo nella parte superiore della composizione, mentre scaglia le folgori sui Giganti sottostanti. La scelta di questo episodio mitologico non è stata certamente casuale. Secondo quanto suggeriscono fonti del tempo, la figura di Giove vittorioso sui Giganti costituiva un’allegoria dell’imperatore Carlo V vittorioso sui suoi nemici, in particolare i Protestanti ed i Turchi.

Gli arazzi di Alessandro Magno

I due arazzi dedicati alla figura di Alessandro Magno sono tessuti con filati d’oro e d’argento uniti a seta e lana. Realizzati intorno al 1460 a Tournai, nel ducato di Borgogna, facevano probabilmente parte di un ciclo di arazzi che il mercante-imprenditore Pasquier Grenier fornì al duca Filippo il Buono. I due grandi arazzi misurano poco meno di quaranta metri quadrati ciascuno e raffigurano numerosi episodi della storia e della leggenda di Alessandro Magno, considerato dai duchi di Borgogna un modello ideale: cavaliere perfetto, sovrano giusto ed eroico, protagonista di imprese leggendarie e fiabesche. Il primo arazzo descrive alcune scene della giovinezza dell’eroe, come l’arrivo del crudele cavallo Bucefalo, che si cibava di carne umana prima di essere domato da Alessandro; lo scontro con Pausania, feritore del padre Filippo; la sua morte e il passaggio della corona al giovane erede. Il secondo arazzo mostra un analogo intreccio di elementi storici e leggendari, e riflette la Borgogna del XV secolo nella foggia dei costumi, nella tipologia delle armi, nello stile degli edifici. La parte sinistra dell’opera illustra la conquista della città siriana di Tiro, nel 332 avanti Cristo, descritta però come un assedio quattrocentesco. Al centro è raffigurato un episodio che appartiene al versante mitico del personaggio di Alessandro: il sovrano macedone, seduto all’interno di una gabbia ornata di pietre preziose, regge nelle mani due lunghe aste rosse in cui sono infilzati dei prosciutti. Quattro grifoni sono incatenati alla gabbia e nel tentativo di raggiungere la carne sbattono vigorosamente le ali, sollevando il loro carico sempre più in alto, sino al cielo. Dio Padre, contornato da rossi cherubini, assiste alla scena. Nella parte destra dell’arazzo è poi raffigurato l’insaziabile desiderio di conoscenza che spinge Alessandro a esplorare gli abissi marini. L’eroe si fa calare sul fondo del mare all’interno di una botte di vetro, tenendo in mano due fiaccole per illuminare il buio dell’abisso. Infine, nell’angolo in basso a destra, si assiste all’ultimo capitolo del “romanzo di Alessandro”, in cui il sovrano macedone, conquistati tutti i popoli del mondo, raggiunge gli estremi confini della terra, e insieme ai suoi seguaci uccide i mostri che li abitano, raffigurati per lo più come esseri senza testa, ricoperti da una fitta pelliccia, con gli occhi, il naso e la bocca sul petto.


Il Cane Roldano

Il cane Roldano è protagonista di una tela dipinta da Aurelio Lomi, artista pisano attivo a Genova tra il 1597 e il 1604, nel quale un elegante paggio lo striglia con una spazzola d’argento. Il cane, tradizionale simbolo di fedeltà, acquisisce in questo dipinto un notevole valore simbolico. Roldano fu infatti donato a Giovanni Andrea I dal re Filippo II, come segno di riconoscenza per la lealtà dei Doria alla corona spagnola. Dopo la sua morte, il molosso fu sepolto con grandi onori nel giardino del palazzo, ai piedi della statua di Giove.


Ritratto di Andrea Doria con Gatto (FC 814)

La tela, realizzata intorno alla metà del Cinqucento e attribuita al pittore fiammingo William Key, raffigura Andrea Doria in maniera assai realistica, con il volto segnato da rughe profonde, le palpebre abbassate sugli occhi arrossati, lo sguardo ancora fiero che combatte contro la fragilità della vecchiaia. Il Principe porta al collo il Toson d’oro. Di fronte a lui, su un tavolo, un grande gatto soriano e un orologio. Il gatto, tradizionalmente interpretato come emblema della famiglia rivale dei Fieschi, costituisce più probabilmente un’allegoria della libertà; l’orologio, spesso presente nei ritratti politici dell’Imperatore e re di Spagna Carlo V, rappresenta invece una metafora del buon governo universale e della temperanza. La presenza del gatto e dell’orologio potrebbe dunque costituire un preciso riferimento ai temi fondamentali dell’azione politica di Andrea Doria: la Repubblica genovese da un lato e l’Impero dall’altro.