Villa Del Principe - Palazzo Di Andrea Doria

5 Sala di Aracne

Sala di Aracne

La stanza era anticamente una delle camere da letto di Peretta Usodimare Del Carretto, che Andrea Doria sposò in tarda età nel 1527. Al centro del soffitto la chiave di volta in pietra nera di promontorio reca lo stemma dei Doria, un’aquila su campo oro e argento, unito allo stemma dei Cibo, una banda di scacchi a tre file, scelto dalla consorte per ricordare la sua illustre parentela con papa Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cibo) al servizio del quale Andrea iniziò la sua brillante carriera militare. Il pontefice era il nonno della futura sposa dell’ammiraglio. Nelle lunette di questa sala è raffigurata la storia di Aracne, abilissima tessitrice, che osò sfidare Minerva. Sconfitta dalla dea, la donna fu trasformata in ragno e condannata a tessere per l’eternità la sua tela. Sulla parete nord si scorgono gli episodi iniziali della vicenda: l’incontro tra Minerva e Aracne, la gara di tessitura e infine la tela che Aracne realizzò sul tema degli “amori degli dei”. Le scene seguenti sono incentrate sugli “amori di Giove” e si sviluppano sulla parete est e sud. L’opera si completa sulla parete ovest con i momenti finali della vicenda, in cui Minerva mostra ad Aracne la propria tela e poi la punisce. Nella sala sono esposti un mobile e due tavolini in ebano e avorio intarsiato. Questi pezzi, di notevole pregio, sono stati realizzati nel Seicento in ambito probabilmente meridionale, forse napoletano. Il mobile, costituito da due corpi – uno stipo poggiato su un cassettone – presenta nelle lastre di avorio, raffinatamente incise, scene tratte dalla Genesi e dalla storia dell’antica Roma. La camera custodisce i ritratti di alcune dame vissute nel Seicento quando, a causa di una serie di premature dipartite dei membri maschili della famiglia, furono le donne a reggere le sorti del casato. Protagoniste delle trattative matrimoniali che portarono all’unione dei Doria con due stirpi particolarmente influenti, i Landi e i Pamphilj, furono Zenobia II, primogenita di Andrea II, e Violante Lomellini, consorte di Andrea III Doria Landi. Attraverso queste nozze il casato genovese divenne una delle dinastie più ricche d’Europa.

Ritratto della Dama Rossa (Zenobia II Doria?)

Il ritratto della dama rossa, dipinto all’inizio del Seicento e attribuito al pittore genovese Bernardo Castello, costituisce un’opera di grande pregio, realizzata secondo i canoni dei celebri ritratti di Van Dyck. La modella indossa un ricco abito rosso e dorato, in linea con i rigidi dettami della moda spagnola del tempo. La datazione del quadro lascia supporre che la protagonista possa essere donna Zenobia II che, alla morte dei genitori e in attesa del maggiore età del fratello Giovanni Andrea II, resse con competenza e decisione le sorti della casa Doria di Melfi tra il 1620 e il 1627. Questo periodo fu caratterizzato da forti investimenti economici in giochi, feste e musica e da una ricca committenza di stoviglie, mobili e stoffe preziose per adeguare lo stile di vita della famiglia e gli arredi della Villa alle imposizioni di lusso e sfarzo del costume dell’epoca.

Ritratto di Maria Polissena Landi

L’iscrizione in alto a destra identifica la dama come Maria Polissena Landi, unica erede di Federico, Principe di Valditaro e Signore di Bardi e Compiano, che si unì in matrimonio a Giovanni Andrea II Doria nel 1627. La morte prematura del marito ne fece la reggente per conto del figlio Andrea III che si sposò con Violante Lomellini, discendente del doge Giacomo. Le due donne non furono mai in buoni rapporti tanto che Polissena fu estromessa dalla gestione famigliare e per volontà del figlio costretta a ritirarsi nel feudo di Gremiasco. Il ritratto, eseguito ad un anno di distanza dal matrimonio con il Doria, si conservava come effige ufficiale nel castello di Melfi, possedimento Doria dai tempi di Andrea I: la volontà di rappresentare lo status della dama, tramite la ricca collana di perle e lo sfarzoso vestito, contrasta con la qualità dell’opera non eccelsa.   

Ritratto di Caterina Trivulzio

Il dipinto risultava già pesantemente ridipinto in occasione dei restauri propedeutici all’apertura del museo, tanto da rendere ingiudicabili la qualità artistica dell’opera e le sue reali condizioni conservative. L’iscrizione identifica la bambina ritratta come Ottavia Caterina Trivulzio all’età di anni 5. Si tratta con ogni probabilità della figlia di Nicolò Trivulzio e Gerolama Doria, unitisi in matrimonio nel 1574. La nobile e antica famiglia Trivulzio costituì un grande casato lombardo che raggiunse il suo apogeo durante la Signoria degli Sforza di Milano. 

Ritratto di Anna Pamphilj

Anna Pamphilj, figlia di Olimpia Aldobrandini Borghese e di Camillo di Valmontone, nipote di papa Innocenzo X, sposò Giovanni Andrea III Doria Landi il 25 ottobre 1671. Il matrimonio fu celebrato a Roma, festeggiato a Genova con eccezionale fasto e occasione per una radicale campagna di ammodernamento del decoro della dimora. Come era consuetudine dell’epoca, i promessi sposi non si conoscevano personalmente e per tale motivo, prima delle nozze, la famiglia Pamphilj inviò al fidanzato questa effigie. Il dipinto, attribuito a Jacob Ferdinand Voet, eccellente ritrattista tardo barocco, raffigura la giovane in maniera assai realistica, senza nasconderne i difetti fisici. Anna Pamphilij indossa un elegante abito alla moda francese e in mano tiene un lilium, simbolo della purezza.

Piatti della manifattura di Montelupo e di Viterbo

Nelle due vetrine sottostanti i ritratti di Caterina Trivulzio e Maria Polissena Landi si conservano sei piatti coevi ai dipinti della sala e cioè risalenti al XVII secolo, prodotti dalle famose manifatture di Montelupo in Toscana e di Viterbo. A destra si osservano tre ceramiche rappresentanti figure maschili di alfieri e fanti, detti “Arlecchini di Montelupo” per i loro colori vivaci e i gesti brillanti. A sinistra invece sono collocati piatti con più tradizionali figure religiose (San Rocco, un Santo vescovo e i simboli della Passione di Cristo).